20 ottobre 2005

Climber si diventa...per caso




Cosa spinge due ultra trentenni verso l'arrampicata? Qual'é la molla che li porta a fare 100 km in un giorno festivo, quando se ne potrebbero tranquillamente stare sbracati sulla poltrona di casa, giocando alla PlayStation? Perché si avviano verso la parete anche quando sembra che possa cadere il diluvio? (Vedi foto)
Per rispondere a questo groviglio di domande occorre capire che cos'é l'arrampicata sportiva, averla provata una volta nella vita. La vita della metropoli, o piú in generale della cittá, é sí eccitante ma é anche piena di trabocchetti: lo stress, il traffico, il rumore...é una corsa continua. Uscire una domenica o un sabato e percorrere numerosi km per arrivare ai piedi della parete permette finalmente di staccare la spina dal quotidiano, di sfuggire per qualche ora dalla routine. Il silenzio, sebbene interrotto da qualche urlo del tipo "Bloccaaa!", la solitudine e la tranquillitá di quelle ore non si possono spiegare a parole: bisogna viverle. Ogni momento é una sfida: la prossima presa, un possibile appiglio, un appoggio per il maledetto piede che va dappertutto, visto che sono una sega e se mi esercitassi un pó di piú scalerei senza fatica un 6C. I pensieri che si susseguono numerosi nel silenzio del tuo compagno che ti fa sicura, l'attimo di "resting" per recuperare quel minimo di forza che hai...le braccia sono due mattoni d'acciaio, visto che hai cosí poca tecnica che fai leva solo su quelle...la catena é finalmente lí, la vedi, é il tuo obiettivo, la tua meta...eppure le forze ti iniziano a mancare, perché fai una vita sedentaria, fai pochissimo sport e fumi come una ciminiera...che fai molli? NO...la catena...devi resistere... e quando finalmente arrivi alla meta e miagoli la frase "Blocca" con le poche forze che ti sono rimaste, assicuro chiunque che é valsa la pena sbattersi per 100 e piú km. In quel preciso momento hai appena scaricato tutte le tossine della routine quotidiana ed il ritorno al lavoro, il lunedí, sará una passeggiata di salute.
La tecnica? Non siamo puristi, non ce lo possiamo permettere...in fondo lo faccio perché mi piace passare qualche ora in compagnia del mio amico Tuzzo, all'aria aperta e senza obblighi.
Beh, dopo aver aperto la prima, sotto con la seconda...un pó di orizzontalitá ed é fatta; ma questa é un'altra storia...
Rimane un'ultima domanda: perché stanno ancora in parete al tramonto, cercando un appiglio, una tacca o chissá...un monodito? Perché sono usciti di casa alle 13 e hanno iniziato ad arrampicare alle 16.....
Nella foto Cix alle prese con Mozart - foto ritoccata e si vede

19 ottobre 2005

TIRA FUORI IL RAGNO CHE E' IN TE..





VENT'ANNI fa sembrava un azzardo destinato a fallire, mettere in competizione i praticanti di uno sport che cresceva sicuro ma lento, per misurarne la destrezza e la velocità nel salire su una parete di roccia perlopiù strapiombante. Non fu così, lo testimonia il Rock Master - una Champions Cup dell'arrampicata sportiva - che sabato e domenica, 3 e 4 settembre si tiene ad Arco, due passi dal lago di Garda, con il meglio degli specialisti da tutto il Mondo.
Ha avuto successo l'intuizione di un ex giornalista di Tuttosport, Emanuele Cassarà, e d'un alpinista di fama come Andrea Mellano, primo italiano sulla spaventosa parete nord dell'Eiger: le gare di arrampicata trovarono atleti e pubblico, ma soprattutto diedero slancio a uno sport che cercava ancora la sua fisionomia. Da allora, dal weekend d'inizio luglio del 1985 a Bardonecchia, nulla di quell'universo fu più come prima. Sfumarono subito le ironie di chi dava vita breve a una disciplina importata dalla Russia, dall'Unione Sovietica , dove le gare di velocità sulla roccia, un cavo d'acciaio dall'alto a fare sicurezza, erano tradizione di decenni.
Perplessità comprensibili. D'altra parte la maggioranza degli arrampicatori italiani - ma si chiamavano ancora scalatori, per il grande pubblico, o ancora meglio rocciatori - dieci anni prima non sapeva nemmeno cosa fossero, le scarpette morbide che nel giro di poco sostituiranno poi gli scarponi.
Nel giro di poco il mondo dell'arrampicata divenne un'altra cosa e da quando il Rock Master nacque nel 1986 ad Arco i due itinerari furono sempre più divergenti. Finché, sempre ad Arco, due anni più tardi, la gara non venne organizzata da Angelo Seneci - direttore tecnico fin dalla prima edizione, lo è tuttora - su una struttura artificiale. Fu una nuova rivoluzione.
"Le prime prese - ricorda adesso Seneci - le realizzammo con il Das, cuocendole nel forno di casa e rivestendole in vario modo, dallo zucchero al sale, fino a varie sabbie di quarzo".
Oggi Seneci dirige una delle aziende leader nel mondo per la produzione di pareti artificiali e per il loro allestimento, la Sint Roc & Ecogrips. Monta muri d'arrampicata un po' dappertutto, glieli chiedono le amministrazioni comunali, le scuole, ma anche i privati. È stato questo un altro degli effetti collaterali del Rock Master, forse il più dirompente. La diffusione dei muri d'arrampicata nelle palestre, ha difatto aumento il numero dei praticanti.

Glossarioboulder
masso: ovvero un percorso che non porta in alto, ma è spesso molto più tecnico e difficile, comunque sempre impegnativo.
Arrampicata Sportiva e Free Climbing: la prima si effettua legati, la seconda no. Con la prima si riesce a portare a casa la pelle quasi sempre...
presa: appiglio per le mani
tacca: appiglio
fare sicura: l'assicuratore e' la persona che resta a terra e tiene la corda che serve ad assicurare la salita di chi arrampica. Basta un attimo di distrazione nel momento sbagliato per una disgrazia.
otto, moschettone, rinvio, secchiello, nuts, friends, corda, gri-gri: attrezzatura
arrampicare da prima: la persona che sale su una via portando su la corda (quindi assicurata solo dal basso)
arrampicare da seconda: quando si sale su una via dove qualcuno ha gia' portato su la corda, e quindi c'e' maggiore sicurezza in caso di caduta
scivolataghisare: termine usato per le braccia, quando sono molto stanche e sembrano pesantissime
Per saperne di più : http://www.federclimb.it/

NUOVE VELE PER VOLARE....SU TUTTO!!








E' arrivata in Italia KITEWING, una rivoluzionaria vela da trazione.
A prima vista sembra essere un incrocio tra una vela da windsurf e una vela di deltaplano.
In effetti sfrutta entrambe le caratteristiche per offrire il massimo del divertimento: tenuta come vela da windsurf la vela spinge il pilota sugli sci, snowboard, pattini, roller, mountainboard; una volta in velocità, la vela, posizionata sulla testa come un piccolo delta, comincia a volare e permette di effettuare salti ed evoluzioni incredibili.
La vela, a differenza dei kite, non ha cavi ma è tenuta in mano tramite un boma ed è assicurata al braccio del pilota tramite un leash. Questo conferisce grande manovrabilità alla vela e possibilità di utilizzo senza pericolo anche vicino a piante o abitazioni.Non avendo un albero, la vela è utilizzabile in un range di vento ampissimo: automaticamente tende a posizionarsi in orizzontale con l'aumentare dell'intensità dell'aria in modo che il pilota non risulti mai "soprainvelato"; non è necessario avere più metrature di vela come per i kite ma una è sufficiente dai 7-8 nodi ai 30.La vela viene proposta in due metrature una 3,5m (per ragazzini o donne molto leggere) e l'altra, utilizzata quasi sempre, con metratura da 4,8m. dal punto di vista merceologico viene venduto un modello in DACRON e un modello in MONOFILM.

05 ottobre 2005

MISCHIE SOTT'ACQUA ALL'ULTIMO RESPIRO





La prima cosa che si pensa è che sia uno scherzo, l'ennesima bufala internettiana o il delirio di un insegnante di educazione fisica in pensione. Poi navigando tra le decine di siti dedicati all'Underwater Rugby si scopre che non c'è trucco, né finzione. Esistono squadre, campionati, praticanti e perfino spettatori di questo sport che utilizza come terreno di gioco il fondo di una piscina. Le regole sono semplici e assurde al tempo stesso: si gioca sei contro sei, con maschere, pinne e boccaglio e cambi liberi. La palla non è ovale ma tonda, del diametro di 25 cm ed è riempita di una soluzione salina che tende a farla andare a fondo. La meta si realizza infilando questa palla dentro un canestro posto sul fondo della piscina, profonda dai 3,5 ai 5 metri.

La somiglianza con il rugby è data dal fatto che il portatore di palla può essere attaccato e placcato. Sono vietati solo gli interventi su maschera e tubo, le trattenute per il costume e gli strangolamenti. A sorvegliare che le mischie sottomarine si svolgano regolarmente ci pensano due arbitri, provvisti di bombole di ossigeno, pronti a trasformarsi in bagnini in caso qualche giocatore venisse colpito duramente e rischiasse di affogare. Come succede sulla terraferma nel rugby subacqueo, esistono ruoli e schemi di gioco definiti: due attaccanti, due difensori, un portiere e un ala che prende il suo posto quando l'estremo difensore deve salire in superfice per respirare. Per impedire la marcatura il portiere ha un solo mezzo: quello di sdrairsi sul canestro oppure, anzi meglio ancora, infilarci dentro il proprio sedere. Almeno fino a quando ha aria nei polmoni. Sport anaerobico per eccellenza il rugby subacqueo richiede infatti che il giocatore risalga in superficie ogni 20-30 secondi per respirare. Tra le attrattive di questo sport pare ci sia quella di svolgersi in un ambiente completamente tridimensionale, in una condizione simile alla assenza di gravità. Lo scontro fisico poi non ha quasi mai conseguenze gravi per la immersione in un fluido che frena e ammorbidisce i colpi. Molto popolare in Germania, dove esistono 4 serie con propri campionati, e nei paesi scandinavi, il rugby nella sua versione underwater ha praticanti entusiasti in tutto il mondo. Dal 1997 anche in Italia esiste una squadra di amatori, Firenze 01, che organizza e partecipa a tornei internazionali. Da fine 2001 è sorto un altro team chiamato Roma U.H.R.C. Se mai questo sport dovesse prendere piede e diventare popolare, potrà contare su un grande fuoriclasse, un campione in grado di risolvere da solo le partite: Gianluca Genoni, l'unico uomo al mondo capace di restare sott'acqua per 12 minuti e 34 secondi.
Per saperne di più http://www.firs.it/

UNA LUCIDA FOLLIA

Sassolungo "forcella del Sella"








Dalla pista "nera" al fuori pista, dal fuori pista allo sci ripido (pendenze fino a 50°) e poi l'ultimo passo: lo sci estremo. Il confine si sposta più avanti, la sfida diventa più emozionante, ma c'è uno spiacevole corollario. Ad ogni passaggio i rischi aumentano, il margine di errore si restringe, fino alla condizione in cui vige una logica trasparente e brutale: se cadi sei morto.
Lo sci estremo nasce negli anni '70 come una nuova frontiera dell'alpinismo: scendere con gli sci lungo pareti e couloir risaliti prima con piccozze e ramponi. Le imprese di Tony Valeruz, Jean-Marc Boivin e altri fortissimi alpinisti-sciatori fecero grande senzazione e hanno ancora oggi dell'incredibile: la parete Est del Cervino, il versante della Brenva del Monte Bianco, la paret nord del Lyskaam (800 metri di dislivello, inclinazione costante di 55°, percorsa da Valeruz in tre minuti), per poi passare agli ottomila himalayani (prima discesa dell'Everest compiuta da Hans Kammerlander nel 1996).
Oggi di sci estremo si sente molto parlare, ma i praticanti sono sempre pochi. Ed è bene che sia così. Non esistono sistemi di assicurazione, non puoi tornare indietro, ogni curva può essere l'ultima della tua vita e al rischio di cadere si aggiunge quello di finire travolto da una valanga.Il pericolo però ha una speciale forza magnetica, anche per chi si limita a guardare queste performances.
Negli Usa si sono inventati un campionato mondiale di sci estremo, meno interessata al significato alpinistico e più al gioco, all'acrobazia e allo spettacolo, con tanto di classifica e giuria. Ovviamente il pendio non è poi così ripido, la neve è buona, i soccorsi pronti a intervenire, ma un salto di dieci metri sopra le rocce non è una cosa alla portata di tutti.
Ci si fa portare dall'elicottero in cima alla montagna e poi giù tra sbuffi di polvere, salti e funambolismi vari. Questa versione soft dello sci estremo (da molti chiamato freeskiing o freeride), ha generato una massa di video (spesso autoprodotti), ovviamente molto accattivanti, e spettacolari.
Se li guardate, non fatevi venire strane idee.
Era il lontano Febbraio 88 quando con parte del gruppo anacapitoanacaponzio, ci trovavamo a trascorrere una tra le più belle settimane bianche dei nostri 17/18 anni. Eravamo a Canazei.dopo alcuni giorni di giri intorno al Sella, e con la forcella del Pordoi archiviata con successo, decidemmo di sfidare la più pericolosa tra le forcelle, quella del Sella.A valle eravamo in molti, ma solo in quattro decidemmo (con l'incoscenza degli anni) di salire.Arrivati in cima, il Mezzi ci manicotta e torna giù, mesto nel bidoncino giallo, mentre io il Jhona, ed il Bellay, dopo i vari commenti:"cazzo se è ripida, cazzo se è stretta, cazzo le rocce...", decidiamo che non si può tornare indietro.....Rigà stingiamo gli attacchi se nò so cazzi!! le mie ultime parole famose...Jhona, perso uno sci, tenta invano di fare qualcosa, ma purtroppo perde l'appiglio e comincia a cadere verso valle ad una velocità impressionante, lisciando le reti di protezione, e rimbalzando tra le gobbe sfiorando per sua fortuna le rocce.....intanto io vengo giù...spigolando, con notevole timore ( con in braccio uno sci del jhona ed un'altro di un francese che si era per sua fortuna, aggrovigliato nella rete), ma rassicurato comunque dal segnale di vita del jhona a valle, ad un certo punto (e questa immagine mi è rimasta impressa nella mente come una foto), mi volto e vedo il bellay che rimbalza in ginocchio tra le gobbe...anche lui stava cadendo, ma fortunatamente lontano dalle rocce.......fino a fermarsi, dopo aver percorso gli ultimi 20/30 metri a pelle d'orso....
In fondo, raggiunto il gruppo che ci stava aspettando i primi commenti: voi siete matti, il Jhon a momenti ci lascia le piume....ci racconta il mezzi, che dall'alto della bidonvia(mentre tornava giù), ha visto la caduta del Jhon (in un primo momento divertito, poi, però preoccupato), oltre a sfiorare le rocce, è precipitato per più di 350 metri, rimbalzando come un burattino inanimato....
Vi ricordate il jhon cosa mi chiese prima di riprendere la sciata ?: "mi sono perso il braccialetto di (un misero laccetto di gomma) Nicoletta la sua allora ragazza....non è che ti andrebbe di rifarla e cercarmelo ?....Stava bene fisicamente, ma evidentemente la testa l'aveva battuta forte...!

A pensarci bene l'incoscenza dei tempi, aveva pesato molto sulla decisione di affrontare quella discesa, e anche il fatto (per me), di essere consapevole delle mie buone capacità.
Quello che non avevamo considerato, invece, era che per affrontare tale discesa, non bastavano le capacità "buone" o presunte tali, ma bisognava avere l'attrezzatura giusta, e una bella dose di fortuna.
La prima a pensarci bene, non l'avevamo, la seconda, ringraziando Dio l'abbiamo avuta.